Sanremo secondo la stampa estera: nonne, mandolini e spaghetti? Ma per favore!
Di Luca Monti, inviato da Sanremo.
Sanremo visto dalla stampa estera? Ma certo, tutti a casa della nonna, circondati da fiori secchi, foto ingiallite del centro di Roma e Venezia, con la tavolata imbandita di spaghetti, prosecco e San Pellegrino. Magari con lo zio che strimpella il mandolino in sottofondo e la zia che versa il Martini con aria solenne. Un quadretto romantico e polveroso che sembra uscito da un vecchio film di Fellini. Ma davvero ci vedono così? Ovviamente no.
Abbiamo parlato con Aimine Ohtmani, giornalista specializzato in Eurovision, per capire come il Festival viene percepito fuori dai confini italiani. E, sorpresa sorpresa, non siamo solo stereotipi e nostalgia da cartolina!
Sanremo per gli europei è un concentrato di passione e sofferenza. Ebbene sì, la nostra musica è vista come un’esplosione di sentimenti intensi: amore struggente, cuori spezzati e tragedie in note. Pare che la combo "amore, core e ‘o malamente" sia ancora il nostro biglietto da visita. E se i testi sfuggono agli spettatori internazionali (perché, sia chiaro, i sottotitoli in inglese sono una creatura mitologica), le emozioni passano lo stesso. Certo, qualcuno ancora si chiede perché il mercoledì e il giovedì esistano, ma sono dettagli.
Tra gli artisti che hanno colpito il pubblico europeo, c’è Fedez: trasgressivo, potente, alieno, gotico, quasi un supereroe musicale. Ovviamente, il tutto condito dalla saga social con la povera Chiara rimasta orfana del suo compagno di scene digitali. Un'altra che ha fatto breccia è Giorgia: la sua voce dinamica ed emozionale ha conquistato i cuori. E qui arriva il punto chiave: all’Eurovision vince chi sa emozionare, chi sa creare una progressione musicale che travolge lo spettatore. Se inizi in sordina ma poi esplodi in un crescendo epico, sei sulla buona strada. Se resti piatto... beh, buona fortuna.
E poi c’è lo "staging", ovvero la sacra arte di rendere visivamente interessante una performance. Perché sì, puoi anche avere la canzone più bella del mondo, ma se stai immobile davanti al microfono come una statua, il pubblico europeo potrebbe confonderti con l’arredamento. Un esempio citato? Simone Cristicchi, che con il suo "canto-parlato" ha commosso persino chi non capiva una parola, dimostrando che l’intensità emotiva batte la barriera linguistica.
E il mondo latino? Anche qui Sanremo ha il suo perché. Artisti come Brunori Sas e Lucio Corsi, con la loro vena poetica, piacciono ai francesi. Serena Brancale invece potrebbe fare faville tra gli spagnoli e i portoghesi. Insomma, il Festival potrebbe essere un ponte culturale tra Italia e il resto del Mediterraneo, se solo smettessimo di chiuderci in un provincialismo tutto nostro.
E Gaia? Adorata all’estero, ma forse non abbastanza "italiana" per sfondare all’Eurovision. Perché, diciamocelo, fuori dai nostri confini ci vogliono tradizionali, passionali e con il cuore in mano.
Alla fine della fiera, Sanremo ed Eurovision sono due mondi che si influenzano a vicenda. Se vogliamo che il nostro Festival abbia risonanza oltre confine, dobbiamo imparare a giocare con le regole dello showbiz globale. E magari, chissà, un giorno riusciremo a convincere il resto d’Europa che l’Italia non è solo pizza, mandolino e nonne davanti alla TV.