Sanremo e la serata delle cover: tra nostalgia, innovazione e strategie di palco
Di Luca Monti, inviato da Sanremo.
Il Festival di Sanremo si conferma ancora una volta un banco di prova per la reale preparazione musicale degli artisti in gara. La serata delle cover, in particolare, rappresenta un momento cruciale: un’occasione per dare nuova vita a un brano o, al contrario, per metterne in luce i propri limiti interpretativi. Più spesso accade la seconda ipotesi.
Ogni artista ha a disposizione pochi minuti sul palco, circa 15 o 20 nell’intera settimana, per costruire un’immagine memorabile di sé. Non solo attraverso il proprio inedito, ma anche reinterpretando brani altrui. Una scelta che si rivela strategica e che riflette diverse tattiche: affidarsi alla tradizione, puntare su un classico sicuro o cercare di stupire con scelte audaci.
Quest’anno, la selezione delle cover ha oscillato tra nostalgia e innovazione, tra omaggi ai grandi maestri e tentativi di inserirsi in una narrazione più ampia. Non sorprende, quindi, la presenza di nomi come Lucio Dalla, Fabrizio De André, Franco Battiato, Pino Daniele e Gino Paoli tra le scelte degli artisti.
Alcune performance hanno brillato di luce propria: De André e Bresh hanno saputo emozionare, mentre anche Masini e Fedez hanno lasciato il segno. Al contrario, la napoletanità di Rocco Hunt e Paino Daniela è scivolata nel caos, mentre Serena Brancale ha conquistato con la sua raffinata anima jazz.
Il cantautorato continua a essere una fonte d’ispirazione, spesso reinterpretato in chiave moderna: Achille Lauro ed Elodie hanno scelto Riccardo Cocciante e Loredana Bertè, mentre Brunori Sas e Dimartino hanno reso omaggio a Lucio Dalla. Francesco Gabbani, affiancato da Tricarico, ha portato sul palco un brano simbolo degli anni Duemila, Io sono Francesco, con un’interpretazione che ha rievocato ricordi contrastanti.
La dimensione internazionale si è fatta sentire con scelte come The Sound of Silence di Simon & Garfunkel, eseguita da Clara con Il Volo, o Skyfall di Adele, proposta da Giorgia e Annalisa. Tuttavia, queste performance, pur impeccabili tecnicamente, sono rimaste fredde, evidenziando il desiderio della musica italiana di confrontarsi con standard globali senza sempre riuscirci appieno.
Il mix tra vintage e contemporaneo è stato evidente anche grazie a ospiti come Toquinho, scelto da Gaia, che ha fatto rimpiangere la Vanoni, o Goran Bregović con Olly, che ha portato sonorità internazionali legate al Mediterraneo. Il momento più surreale? L’insuperabile performance di Topo Gigio con Lucio Corsi.
Un altro aspetto interessante è stata la scelta di reinterpretare brani capaci di evocare epoche diverse e di dare grande rilievo all’estetica dello spettacolo. Un esempio su tutti: il Toro Scatenato evocato da Olly, che ha trasformato la sua esibizione in un’esperienza visiva e cinematografica.
Analizzando nel complesso la serata, emerge un Sanremo in equilibrio tra tradizione e innovazione. La nostalgia è un elemento forte, ma viene declinata in modi differenti: chi la usa per costruire un ponte con il passato (come Massimo Ranieri con i Neri per Caso su Quando), chi la reinterpreta in chiave pop moderna (Rose Villain su Lucio Battisti) e chi la trasforma in un esercizio stilistico oltre i confini italiani (Irama e Arisa con Say Something).
In definitiva, la serata delle cover ha offerto un panorama musicale in continua evoluzione, in cui gli artisti hanno cercato di lasciare il segno bilanciando autenticità e strategia, memoria e sperimentazione. Perché Sanremo non è solo una gara di canzoni, ma un grande teatro dove ogni artista costruisce il proprio immaginario.