Uno scatto di orgoglio


Ecco, la musica è finita. Gli amici se ne vanno.
Una telefonatissima finale, primo posto annunciato, si spezza l’incantesimo.
I mostri e le fate del brano di Mengoni ci accompagnano all’uscita.

Questa edizione straordinaria frattura due mondi, gli ottantenni ruspanti stile Paoli e Vanoni che ne hanno combinate tante, e un popolo che avanza, le generazioni che tolgono la maschera. Su tutti Rosa Chemical, Fedez e Ferragni. Gente che per fortuna prende in mano le cose, dimostra che c’è un futuro colorato, libero, innamorato, per fortuna ci sono giovani che osano farci vedere una possibilità nuova, la rivoluzione non è mai indolore e quindi abbasso la borghesia, abbasso i benpensanti della vecchia Democrazia cristiana. Questo è il valore di quel bacio omoerotico.

Sull’orizzonte, una Italia nostalgica che si commuove. Un paese che plaude alle donne e poi, quando vota, manda sul podio cinque uomini. Ma non è questo che fa riflettere. Se sono bravi siano uomini, donne o non binari poco importa. Fa più specie che la casa è molto sporca e molto borghese, una casa dove nemmeno una donna conduce, ma è sempre accanto a, a fianco di: la donna non dirige l’orchestra, non premia nessuno, in conferenza stampa gli uomini protagonisti e snocciola i numeri la dirigente (segretaria?) Rai.
La 73esima edizione del Festival di Sanremo in presenza fa emergere una città intasata e piccola per un popolo che, almeno il venerdì e il sabato, si mette disciplinato in fila in autostrada, poi in fila al ristorante, poi al controllo antiterrorismo. Paga 1,50 un caffè in piedi, 0,50 un bicchiere di acqua naturale, che mai mai viene omaggiato.

Una Italia più avanti nei giovani, finalmente: due generazioni schierate, privilegi ormai insostenibili di funzionari e giornalisti con al seguito trucco e parrucco, e ventenni con il tablet che scrivono dai gradini di una chiesa per mandare un pezzo e nutrire una conversazione fugace, immediata, che tende a morire dopo poche ore. È questa la natura degli eventi: un fuoco acceso nella notte di cui all’alba ci si scorda.

"L'Italia si è fermata" dichiara il direttore di Rai 1 Stefano Coletta in conferenza stampa. "Non sappiamo bene perché, sappiamo che è accaduto."

Il Festival è un dispositivo di accensione, Sanremo è patria, ritorno, nazione, appartenenza. Vi viene in mente un altro elemento unificante puramente italiano?

Il calcio, il cibo, Firenze, le vacanze, la dialettica nord-sud.
Ma nessuno di essi ha la forza di Sanremo, una canzone d’amore di tre minuti che mette in moto i media, i giornalisti, le maestranze tecniche di alto livello, sponsor. Ogni volta che torna Sanremo riattiva il senso di essere in questo posto, in questo giardino vituperio di politici ciechi, che oggi chiedono dimissioni tanto assurde quanto inutili.

Marco Mengoni è un uomo che si emoziona e il suo è un bel pezzo. Che merita di rappresentarci all'Eurovision di Liverpool, nel Regno Unito.

In conclusione, riprendo un post bellissimo scritto da un collega: “Finisce un evento televisivo monumentale, con scenografie che ci hanno invidiato anche dall'estero, e che per converso si consuma sul finale con un cartoncino scritto a pennarello” con la classifica. La monumentalità del Festival e il cartoncino sono una metafora del modo italiano di vivere la vita. Un fare artigiano che sa distinguersi sempre.
È anche questo che ci rende unici nel mondo: quando noi italiani facciamo spettacolo, siamo i più creativi del mondo.

(il Prof. Luca Monti - inviato da Sanremo)