TourFest 2024 | I fumi della fornace
Una creatività condivisa per riscoprire spazi e territori
Di Bianca Rondoni.
Valle Cascia è un piccolo paese in provincia di Macerata. Arrivando si ha la percezione di essere in un posto strettamente residenziale, con una grande strada, un benzinaio sulla sinistra, il parrucchiere di fiducia, un bar con i clienti abituali. Ma per pochi giorni all’anno, tra gli ultimi weekend di agosto, la città si trasforma intorno alla sua fornace, l’ex fornace Smorlesi. Una struttura molto controversa, la cui storia si intreccia profondamente con quella di Valle Cascia, luogo a cui ha portato numerosi posti di lavoro, ma anche innumerevoli difficoltà, dovute anche alla presenza di amianto nella struttura di lavoro. E la città si trasforma anche intorno alla poesia, in primis, ma diventando anche un luogo interdisciplinare in cui si spazia dalle arti visive, a quelle performative. I Fumi della Fornace, un festival sostenuto esclusivamente da donazioni e contributi pubblici, è un evento che propone ogni anno un ventaglio di artisti, poeti e musicisti che portano un’energia unica in un ambiente che diventa un luogo di pace e riflessione, con spazi che vengono ribattezzati per indicare proprio l’unicità e anche il cambio di intenti e scenari che avvengono in quei luoghi, per quattro giorni.
Dal 22 al 24 agosto 2024, sotto la direzione artistica di Valentina Compagnucci, Giorgiomaria Cornelio e Lucamatteo Rossi, ci sono attività di tutti i tipi: concerti, letture poetiche, mostre personali, collettive, performance teatrali, e talk su diversi temi. Il 21 agosto è stato invece il giorno dedicato ai PREfumi, un pre festival con attività ad anticipare quanto in programma nei giorni successivi.
Un luogo di cui riappropriarsi
Come indicato sul sito stesso, il nome della festa deriva da una diceria che indicava i fumi prodotti dall’ex fornace Smorlesi come la causa dell’eccentricità e delle doti artistiche dei ragazzi e delle ragazze di Valle Cascia. E quindi il festival mira a riappropriarsi di questo spazio, di questi fumi, che non sono i fumi tossici e che uccidono, ma sono fumi che portano nuove narrazioni, nuovi pensieri.
Il tema di questa edizione del festival è “Conversione”. Conversione come
rinascita di un luogo, come rivoluzione percettiva, come quella singola lacrima che riga il muro dello sconforto, come turbolenza di atti continui, giustapposizione di relazioni, di prossimità, come contagio immaginativo, come un moto tempestoso che attraversa le fitte onde della massa.
Tre giorni di laboratori, letture, confronti
Siamo arrivati a Valle Cascia il 22 agosto, primo giorno del festival. Il primo approccio al festival è stato con gli incontri pomeridiani. Al di là del tema della conversione, ripreso in più situazioni durante il festival, “Collaborativo” è la parola che mi viene in mente se penso ai Fumi Della Fornace. Elementi co-prodotti, tra gli artisti, e tra gli artisti e il pubblico, sono emersi in molteplici contesti. Margherita Morgantin per esempio ci presenta le sue “maniche a vento”, un’opera composta da diversi pezzi di tessuti chiesti alla comunità, che lavora registrando i movimenti del vento. A seguire una conversazione su poesia e conversione con Laura Pugno, Rosaria Lo Russo, e Maria Grazia Calandrone. Qui sono emerse interessanti prospettive sulla scrittura, come elemento che ha un valore sociale perché disturba la quiete, sovverte il linguaggio, mette in scena la libertà. E così la conversione diventa inveramento, “diventare sé”, grazie a una rivoluzione interiore.
Prima della cena, la messinscena di Adesso vattene, fratello mio. All’ex fornace, sotto la regia di Giorgiomaria Cornelio e Danilo Maglio, ha preso vita un’opera di teatro sconcertante, difficile, toccante, incorniciata da uno scenario unico. La cena al “Parco della Poesia”, è stata seguita dalle Melodie antiche e popolari di Massimo Ferrante, che ha fatto ballare il pubblico e commosso, ma non prima delle letture inaugurali della serata, recitate dalle poetesse presenti. Riflessione, confronto, apprendimento, raccolta. Ma anche una festa nella Foresta Nera, con il cosiddetto DopoFesta, tra live set e chiacchiere, in un contesto sociale e conviviale.
Il 23 agosto, secondo giorno del festival, è iniziato con la seconda fase del laboratorio di cinema in pellicola di Esther Fantuzzi, seguito dopo pranzo dal laboratorio di intessitura primitiva condotto da Irene Palombelli.
Ritorna il carattere fortemente collaborativo di queste attività. Nel primo caso ciascun partecipante ha creato il suo loop con delle pellicole, facendo così il proprio film, per poi confrontarsi, analizzando i diversi lavori. Attraverso una visione e creatività condivisa è stato richiesto di tagliarli per poi ricomporli e riattaccarli, a creare un unico lavoro finale. Il dialogo al centro, durante questo tipo di attività, per confrontarsi, capire quale lavoro si attaccava bene a un altro, come far susseguire i frame, e via dicendo. Durante il secondo laboratorio ci siamo addentrati con cautela nella fornace, per raccogliere i materiali che avrebbero poi costituito i pigmenti: mattoni da frantumare, foglie da attaccare e imprimere, detriti, tutto ciò che era possibile immaginare come potenziale colore. Al ritorno, è stato il tempo dell dialogo, per comprendere le reciproche visioni e prospettive per costruire un progetto comune.
A seguire, l’incontro pomeridiano Le mappe della Grande Abbuffata, in dialogo con Inabita, una realtà che si occupa dello sviluppo del territorio attraverso l’osservazione di servizi eco-sistemici, ossia quei servizi e benefici che noi traiamo dall’ambiente, attraverso un processo di co-produzione (è l’uomo che stimola il risultato, che non è spontaneamente servito dalla natura). Il confronto ha sottolineato l’importanza di pensare una cartografia che mette al centro la comunità, in quanto storicamente le mappe sono state sì elementi che rendevano visibile, ma anche elementi che rendevano invisibile.
Collegandosi a questo concetto, le tovagliette della cena al festival hanno costituito un progetto particolarmente significativo, collettivo. Infatti, su ciascuna tovaglietta di carta è stata riportata la mappa di Valle Cascia con una serie di domande come “disegnare la forma del paese secondo noi”, “posizionare la nostra casa nella città”, “disegnare il proprio corpo in quello spazio”, o ancora “l’animale che ti rappresenta durante questo festival”… Può la cartografia essere un’opera d’arte performativa? ci chiede Valentina Compagnucci. In quest’ottica, le tovagliette del festival si trasformeranno in un progetto comune in cui il territorio dialoga con le persone e come le persone lo abitano.
La sera è proseguita con le letture di Viola Lo Moro, Alma Spina, Carmen Gallo, poi un emozionante recital di Luigi Lo Cascio, e una riflessione sul ruolo del lavoro nelle nostre vite, come siamo arrivati ad accettare quest’ottica della performatività, e su che strada ci stiamo muovendo, da parte di Maura Gancitano e Andrea Colamedici.
I Fumi della Fornace è un festival che porta qualcosa di grande in una realtà geograficamente piccola, ridando luce all’ex fornace Smorlesi e alla sua storia. Invitandoci a guardare oltre le grandi città, a riscoprire degli spazi. Forme d’arte antiche e correnti, che dialogano con il contemporaneo in un confronto molto attuale, che analizza l’oggi.