TourFest 2025 | Due weekend dedicati alla danza contemporanea (per non parlar del cane)
Di Riccardo Provasi.
Nel pomeriggio di sabato 28 giugno 2025, dopo un’infinità di ore e di treni, risalivo l’Italia facendo un leggero zig-zag tra il versante tirrenico e quello adriatico per poi raggiungere il cuore dell’Umbria. Dal finestrino, una vista mozzafiato: dal verde brillante delle colline umbre spuntavano via via Spoleto, Foligno, Assisi e le sue basiliche, insieme a decine di borghi medievali, castelli in rovina e chiese sperdute nella natura.
La mia meta? Perugia. Città sorprendente, in cui arte e bellezza nei secoli sembrano averne plasmato le fattezze. A Perugia d’estate prendono vita manifestazioni culturali di ogni genere. Dopo aver preso il Minimetrò e aver osservato la vista formidabile che si spalanca dalla cima della collina, ho raggiunto rapidamente Complesso di Sant’Anna, cuore pulsante di Umbria Danza Festival, manifestazione nata nel 2022, diretta da Valentina Romito. Prodotto da Dance Gallery, scuola di danza nata nel 1994, e dal 2022 finanziata dal FNSV, il festival nasce dall’esperienza pluriennale di Corpi Uscenti, rassegna di danza contemporanea con cui la scuola ha reso il capoluogo umbro un centro fondamentale per la diffusione dell’arte performativa in Italia.
Umbria Danza Festival è pura energia: oltre a illuminare ogni angolo del Complesso di Sant’Anna, trasforma le vie di Perugia, i suoi palazzi storici, i suoi quartieri e i suoi monumenti grazie alla presenza di spettacoli site specific, workshop e performance di altissimo livello, dj set e installazioni che animano la città negli ultimi due weekend lunghi (da giovedì a domenica) di giugno, dal 20 al 29.
Il movimento dei corpi invade luoghi simbolo della città come piazza dei Priori, Palazzo Penna e le sale della Galleria Nazionale dell’Umbria, tra mastodontici crocifissi duecenteschi (per nerd dell’arte medievale come me, Perugia e i suoi musei sono il Paese dei Balocchi) e capolavori del Rinascimento come l’Annunciazione di Piero della Francesca, e quartieri altrettanto affascinanti seppur meno battuti, come Borgo Bello e il suo Orto medievale, posto all’interno del Complesso di San Pietro (nerd dell’arte medievale di tutto il mondo, andateci!) e ora sede del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’ Università degli Studi di Perugia.
La direttrice artistica Valentina Romito insieme a Emma, ph. Simone Rossi
Detto questo, quanto può essere migliorato dalla presenza di una cagnolina con attaccato al collare un cartellino con scritto “Stampa – Emma” con cui ho condiviso i miei due giorni al festival?
Umbria Danza Festival 2025: del Sapere e Del fare
La direttrice artistica Valentina Romito usa queste parole per indicarci la direzione intrapresa dal festival nella sua quarta edizione:
Il claim dell’edizione 2025 del Sapere e del Fare è un invito ad andare a fondo, a prendersi il tempo, a partecipare, a saper guardare, a fare, insieme, a vivere esperienze brevi ma che lasciano il segno, a prendersi cura, a guardare al passato con gli occhi del futuro.
A completare il progetto, dal 21 al 26 ottobre è prevista una programmazione dedicata all’infanzia e all’adolescenza, con laboratori nelle scuole e spettacoli scelti tra le principali produzioni italiane dedicate allo spettacolo per famiglie.
Pochi minuti dopo essere arrivato a Perugia ero già alle porte del festival, nell’area antistante il Complesso di Sant’Anna. La facciata neoclassica di metà XIX secolo nasconde gli oltre ottocento anni dell’edificio che, prima di essere la sede centrale di Dance Gallery e di altre associazioni, è stato un convento di monache, una comunità di canonici, un orfanotrofio e un collegio. A fianco dell’ingresso principale, un portone conduce alla Sala Sant’Anna, allestita solamente con una tribuna e un impianto illuminotecnico e sede della maggior parte degli spettacoli proposti e in cui alle 18:30 ho assistito alla prima nazionale di Se domani (Elisa Sbaragli/TIR danza) con Alice Raffaelli e Lorenzo De Simone, sulla scena interamente vestiti di nero e illuminati da una luce fredda e diffusa, complice il riflesso della pedana bianca posta sul pavimento. Sovente con lo sguardo fisso su noi spettatori, il duo di performer mostra con il proprio corpo la solitudine e la relazione, la separazione e l’unione. Si allungano e allontanano tra loro, ma finendo inesorabilmente per toccarsi, abbracciarsi, intrecciarsi.
Se domani è un ottimo veicolo per cogliere l’anima del festival: l’armonia geometrica dell’architettura neoclassica della sala si fondeva perfettamente con l’eleganza energica della coreografia contemporanea, a dimostrazione della necessità di far coesistere e interagire storico e contemporaneo. Proprio mentre uscivo dalla sala e aspettavo il mio turno per una focaccia farcita (favolosa...), mi accorgevo che tra noi, già perfettamente in regola con la sua targhetta, si aggirava curiosa la cagnolina Emma, divenuta istantaneamente l’attrazione principale dell’intera serata.
Una cena veloce ed è già tempo di prendere posto all’interno del chiostro, dentro il quale il festival ha allestito il palco principale. Emma era accoccolata proprio nel posto di fianco al mio ed entrambi aspettavamo impazienti l’inizio di uno dei momenti maggiormente attesi del festival: il lavoro di MM Contemporary Dance Company, compagnia danza guidata dal coreografo Michele Merola, di Duo D’Eden e Grosse Fugue di Maguy Marin, tra le più apprezzate e innovative coreografe del secondo Novecento. Lorenzo Fiorito e Fabiana Lonardo, rispettivamente Adamo ed Eva in Duo D’Eden (la cui prima versione risale al 1986) entrano in scena con indosso solamente una parrucca e una tuta color carne per restituire la nudità degli abitanti del Giardino dell’Eden. La coppia di performer ci restituisce un momento di rara intensità, in cui la presunta pace dell’Eden sembra svanire nel rapporto tra le due persone. Eva si avvinghia a Adamo, le sue evoluzioni sul corpo del partner restituiscono l’ambiguità di un rapporto in cui coesistono conflitto, attrazione e freddezza.
Alla fine del primo spettacolo, la giornalista Raffaella Tramontano ha dialogato con Merola, che ha voluto sottolineare il valore politico della danza e la forza con cui Maguy Marin persegue, tramite la sua arte, le battaglie sociali in cui si sente coinvolta. Una bella nota positiva: la presenza di una traduttrice simultanea in LIS conferma l’attenzione del festival nei confronti dell’accessibilità.
Di tutt’altro impatto risulta invece Grosse Fugue, coreografia esplosiva ideata nel 2001 e interpretata nella produzione di MM Contemporary Dance Company da Matilde Gherardi, Fabiana Lonardo, Giorgia Raffetto, Alice Ruspaggiari. Le quattro performer, vestite di un rosso fiammante, danzano sulle note della Die Grosse Fuge, op.133 di Beethoven, in una coreografia pensata per avere “ogni nota connessa a un passo”, come ha sottolineato Merola poco prima dell’inizio. Non ci sono limiti alle tipologie dei movimenti: le quattro danzatrici saltano, si scrollano le spalle e le caviglie, rotolano sul pavimento; agiscono tutte insieme, a gruppi, isolate; adoperano tutto lo spazio scenico, talvolta lo oltrepassano, quando una delle quattro performer si siede con le gambe a penzoloni oltre il palcoscenico.
Matilde Gherardi, Fabiana Lonardo, Giorgia Raffetto, Alice Ruspaggiari di MM Contemporary Dance Company, Grosse Fugue, ph. Simone Rossi
Il pubblico, già conquistato dalla performance precedente, esplode in un applauso più che fragoroso (e meritatissimo), diretto sia alla creatività di Maguy Marin quanto alla bravura incommensurabile delle performer.
Giunti a questo punto è chiaro il valore di Umbria Danza Festival: programmare, nella stessa giornata, la prima nazionale di una giovane compagnia e coreografie ormai entrate a far parte della storia della danza, proponendo al pubblico una rosa di spettacoli completa.
A chiudere la prima serata è stata la coinvolgente azione coreografica bpm- bodies per minute di e con Sara Maurizi e Tommaso Petrolo. Di colpo, il piazzale Sant’Anna, antistante il complesso, si riempie dell’atmosfera tipica da discoteca: luci colorate stroboscopiche, perfettamente a ritmo con la traccia del dj, si uniscono ai movimenti sincronizzati di Maurizi e Petrolo, che si scatenano come su una pista da ballo. Roteano, saltano, sempre in ascolto l’uno dell’altro, finchè non attraversano la barriera dello spazio scenico, invitandoci a ballare con loro, a essere noi quei corpi schiavi dei bpm, traghettando così il festival verso la sua Off Night, a cura di Spazio Modu, e lasciandoci in balia del post – punk elettronico di Slebo. Ma sia io che Emma avevano la sveglia presto il giorno seguente, e dopo poco, ognuno per la sua strada, siamo andati a dormire.
La seconda giornata è iniziata con una sveglia poco dopo l’alba, in tempo per essere alle 8:00 all’Orto Medievale del Complesso di San Pietro, dove, durante la performance itinerante Cosmorana (Nicola Galli/LAC Lugano Arte e Cultura, TIR Danza), siamo stati condotti dai performer all’interno dell’orto botanico, passeggiando tra piante, fiori e alberi figli di tradizioni secolari. Mentre noi, guidati da un membro dello staff, seguivamo il sentiero costruito lungo il giardino fermandoci in zone predeterminate, Nicola Galli e Rafael Candela, vestiti interamente di bianco, animavano la vegetazione con gesti morbidi e lenti, stimolando la nostra curiosità a osservare tutto ciò che è presente all’interno dell’orto medievale e non solo ciò che è prossimo a noi. L’atmosfera fantascientifica delle tute e dei tubi dorati, che lungo tutto il percorso passano dolcemente tra le mani dei due danzatori, conferisce un’aura sospesa e misteriosa all’intera performance, che culmina in un finale ambiguo e simbolico, in cui un’asta di metallo dorato, nata dall’incastro dei tubi, viene issata e piantata all’interno del minuto anfiteatro posto all’interno dell’orto: una scena che presenta non pochi rimandi alla discesa sulla Terra del Monolite di 2001: Odissea nello spazio.
Dopo un breve passaggio a Dance Gallery per osservare da vicino il lavoro di Francesco Marilungo per le masterclass organizzate durante il festival, ho iniziato il mio “medievalissimo” tour di Perugia e dei suoi musei. Mi muovevo incantato nel centro della città, osservando quanto avesse da regalare a chi si ricava a visitarla: dal fascino indescrivibile della “geometrica” chiesa di Sant’Ercolano, all’imponenza della Fontana Maggiore, fino ai capolavori contenuti nella Galleria Nazionale dell’Umbria, e nel complesso della Cattedrale di San Lorenzo. Dopo aver completato il minitour (il resto - tantissimo - è per le prossime edizioni di Umbria Danza), alle 17:30 sono tornato in Sala Sant’Anna ad assistere a Kama (Gianni Notarnicola/Equilibrio Dinamico) e alla prima nazionale di G.O.A.T.S (going on a trip, sis) (Billy Barry e Gianni Notarnicola/Equilibrio Dinamico), due coreografie che evidenziano come il corpo e le sue movenze comunichino tramite un linguaggio universale capace di divertire senza rinunciare a riflettere sulla realtà e sulla rigidità degli schemi imposti dalla società. Per qualche ragione organizzativa, i due spettacoli vengono invertiti e il mio secondo pomeriggio a Umbria Danza inizia con G.O.A.T.S (going on a trip, sis).
Siamo su una banchina del treno: la voce registrata comunica le informazioni sui treni in arrivo e in partenza, mentre i danzatori, l’uno vestito con pantaloni neri a vita alta, camicia e giacca verdi, occhiali da sole e stivali con il tacco e l’altro con gonna e scarpe femminili entrambe rosse, pelliccia bianca smanicata sopra una camicia verde chiaro e occhiali sole, sembrano commentare quanto avviene in stazione. Buio in sala, secondo momento della performance, la voce ci accoglie con un “welcome aboard" e i due danzatori si trovano agli estremi di una diagonale della pedana posta sul pavimento, vestiti con magliette e pantaloncini sportivi di colori sgargianti e intenti a far roteare le braccia. Si avvicinano lentamente, verso il centro della scena, e nell’avvicinarsi rallentano i movimenti delle braccia fino a cessare completamente a pochi centimetri l’uno dall’altro. Da quel momento, la loro interazione si copre di fraternità giocosa, e le movenze divengono scherzose, condivise e ripetute tra i due, come quando, tra amici, esiste un intero vocabolario di parole e gesti unici. Nuovamente buio e inizia il terzo atto della performance: illuminati da un occhio di bue caldo indirizzato al centro della pedana, i performer, in biancheria e canottiera, sono sdraiati entrambi sul fianco sinistro, testa contro testa, intenti a fingere di camminare in direzioni opposte. Il rapporto evidenziato dai corpi è diverso rispetto a prima: regnano la calma e l’attenzione tra i due, nonostante i movimenti acuiscono via via intensità e mostrino anche l'incomunicabilità che caratterizza il rapporto tra i due danzatori. L’ultimo atto, animato dalle note di Loose Caboose di Henry Mancini, recupera completamente l’energia della prima parte della performance, con i due danzatori in vestito lungo, uno giallo e l’altro rosa, privi di ogni pesantezza che si scatenano lungo tutto lo spazio scenico, chiudendo lo spettacolo ovviamente… belando.
Salutati i due performer con un caloroso applauso, aspettiamo trepidanti l’inizio dello spettacolo successivo.
Billy Barry e Gianni Notarnicola, G.O.A.T.S., ph. Simone Rossi
In Kama, Gianni Notarnicola è solo sul palco. Camicia nera smanicata, pantaloni grigi a pinocchietto e occhiali da sole in viso (qualcuno li definirebbe “occhiale veloce”), immerso in una sommessa luce fredda, entra in scena lentamente, quasi con fare sospettoso, per poi scatenarsi sulle note di More Peas della storica band funk-disco Fred Wesley and the J. B’s. I movimenti sembrano contratti, trattenuti, quasi fosse ingiusto lasciarsi andare e godersi il momento, nonostante il lip sync e la mimica facciale complice e ammiccante suggeriscano un’immersione totale nel ballo, sottolineando una distanza tra la volontà intima del personaggio in scena e le limitazioni imposte da un rigido codice morale. Improvvisamente, la musica cessa, l’illuminazione cala drasticamente: nel silenzio e nella penombra, Gianni Notarnicola esegue le sue evoluzioni, privo degli occhiali da sole e con uno sguardo velato d’insicurezza, quasi indagante, fino a quando, osservando il pubblico quasi sorridendo, la luce si spegne.
Il programma è più che fitto, e alle ore 19:00 abbiamo già preso posto nella Palestra Dance Gallery, dove la compagnia Over Head Project ci incanta con l’energia di My body is Your Body_outdoor (in scena il duo acrobatico Francesco Germini e Maiol Pruna Soler e la danzatrice Mijin Kim), coreografia densa di stili e movimenti, in cui coesistono acrobazie circensi e sequenze di azioni che richiamano i kata, simulazioni coreografiche di combattimenti. La performance prevede la disposizione del pubblico su due lati della sala, collocando lo spazio scenico al centro. I tre interpreti, vestiti in completo, attendono seduti su altrettanti trespoli che il pubblico prenda posto per cominciare. E, una volta iniziato lo spettacolo, non perdono tempo: i due acrobati si lanciano in evoluzioni estreme, come stare in equilibrio uno sulle spalle dell’altro o lanciarsi orizzontalmente tra le braccia del partner, fingendo una lotta estrema che, una volta lasciati liberi i corpi dai vestiti, rimanda all’immaginario peplum dei combattimenti tra eroi greci. Maiol Pruna, prima rimasta a osservare, come noi, incendia la scena con la sua energia. Si unisce ai due performer, eseguendo nuovamente con loro le medesime acrobazie e ampliandone la spettacolarità, alternando l’azione a momenti in cui, camminando lungo il perimetro dello spazio scenico e fissandoci negli occhi, sembra sfidarci, quasi fosse in attesa del prossimo gladiatore nell’arena. Il pubblico, decisamente più variegato rispetto alle performance precedenti, era estasiato, rapito.
Dopo aver ritrovato Emma (e il suo inseparabile cartellino), che non vedevo dalla mattina, alle 21:00 il pubblico era già disposto nel Chiostro Sant’Anna attendendo elettrizzato l’inizio di Stuporosa (Francesco Marilungo/Körper/Fabbrica Europa), Premio Ubu 2024 come miglior spettacolo di danza: un'ottima scelta per chiudere l’edizione 2025 del festival, anche per la sua capacità di coniugare tradizione e contemporaneità, in linea con quanto ricercato quest’anno da Umbria Danza.
Sono rimasto incantato dalla profondità sinestetica di questo lavoro incentrato sulla volontà di rappresentare la sofferenza umana come condizione immutata lungo i secoli nelle sue manifestazioni. La scena si apre con l’arrivo sul palco delle cinque performer (Alice Raffaelli, Barbara Novati, Roberta Racis, Francesca Linnea Ugolini) insieme alla musicista Vera Di Lecce), vestite interamente di nero, con abiti lunghi e il viso coperto da un velo. In primo piano un microfono, posto nel lato sinistro del palcoscenico, mentre in fondo, in posizione centrale, un tavolo ospita un pc, un sintetizzatore e tutta la strumentazione utilizzata per le tracce sonore, eseguite dal vivo da Vera Di Lecce che all’occorrenza imbraccia anche una chitarra, di un nero lucido magnetico, appoggiata poco distante dalla postazione. Al centro della scena, all’apertura della performance, è presente una vasca di dimensioni contenute, circolare e anch’essa nera lucida, piena d’acqua, dentro cui le performer affondano le loro mani, mentre la musicista prende posto sul fondo. All’improvviso, il pianto, nucleo della rappresentazione, squarcia il silenzio: una delle danzatrici si avvicina al microfono e piange, grida, si dispera. Sembra che proprio dal pianto, dalla sofferenza di una di loro, le altre si animino, muovendosi quasi volando sulla scena, con passi brevi e sospiri, oppure con gesti ampi e decisi, carichi di disperazione. E via, via, ognuna di loro piange. E le altre rispondono danzando, e quando Vera Di Lecce non danza, risponde con la sua voce e la sua musica, capaci di coniugare la tradizione salentina con le atmosfere gotiche dell’universo rock e post punk britannici tipiche di artisti come Bauhaus, Joy Division e Black Sabbath (grazie di tutto Ozzy, “Principe delle Tenebre”!).
L’intreccio tra la coreografia all’apparenza scarna, ma in verità essenziale, l’immediatezza del pianto come codice sonoro naturale della disperazione, la scenografia dominata dal colore nero, come i costumi, evoca perfettamente le sensazioni provate durante i periodi di profonda tristezza che caratterizzano alcuni momenti della nostra vita, come i lutti. Umbria Danza Festival non poteva finire diversamente se non col pubblico trascinato nuovamente dall’entusiasmo di bpm-bodies per minute nel dj set curato da Spazio Modu e pronto a ballare fino a notte fonda prima di andare a dormire. Ma io me ne sono andato a letto pronto per partire per una nuova tappa… Ovviamente, dopo aver salutato la mia nuova amica Emma.
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