TourFest 2025 | Cesena diventa Città Viva. Un festival per dialogare con i luoghi e con il tempo
Di Lavinia di Genova
Dal 2 al 14 settembre 2025, Cesena è stata abitata dal FuMe Festival, un intreccio di performance, incontri ed esperienze che ha reso la città malatestiana Città viva, il claim che Michele Di Giacomo, direttore artistico, ha deciso di dare alla sesta edizione del festival. Una speranza, una visione, un obiettivo che sa di presente, un tempo durante il quale si ha ancora la possibilità di costruire insieme FUture MEmorie condivise.
Tra Cesena e il mondo: riflessioni sulla vita degli spazi e sugli spazi della vita
Nel solco di questa ambizione, si inserisce la prima attività a cui ho partecipato, una passeggiata per il centro città attraverso alcuni spazi sfitti: La vasca in centro. Spazi sfitti in città. Riprendendo l’assai conosciuta e praticata “vasca in centro”, le fotografe Caterina Basler e Chiara Pavolucci e l’architetta Era Dajci, insieme a Giordano Bruno di “Cesena di una volta”, hanno accompagnato il pubblico in una camminata partecipata dedicata a quei luoghi dimenticati, che un tempo rappresentavano punti di riferimento per la comunità cittadina. Attraversando Cesena, i locali e gli spazi vuoti sono parecchi, tanto che l’artista Freak of Nature li ha numerati progressivamente e ha dipinto sulle vetrine di ogni attività abbandonata delle canne di bambù verdi, per testimoniare il suo passaggio e denunciare la gravità della situazione. Dopo la denuncia è importante anche immaginare i futuri possibili impieghi di questi spazi. Così, per ogni tappa, con il supporto di alcune foto d’epoca, le curatrici dell’esperienza hanno prima ricordato la storia dei negozi ormai abbandonati, e poi hanno sollecitato la fantasia chiedendo ai partecipanti cosa sarebbe piaciuto diventassero. Si è fantasticato, per esempio, che un ex salone di bellezza ai piedi del Duomo potesse trasformarsi in un ostello, in un centro termale o in uno spazio di ricerca per artiste e artisti. Tutte queste idee sono state scritte su dei fogli colorati e affissi sulle rispettive vetrine: un colpo d’occhio efficace che ha suscitato la curiosità dei passanti anche i giorni successivi, creando uno scambio di idee prezioso e potenzialmente infinito.
La vasca in centro. Spazi sfitti in città, Fu Me Festival 2025, ph. Chiara Pavolucci
A volte l’obiettivo di rendere vive le città, soprattutto se si mira solo al profitto economico, rischia di causare lo sfruttamento eccessivo delle risorse, ottenendo così l’effetto contrario, ovvero la produzione di spazi invivibili. Si è ragionato su questo tema durante l’incontro Lo spazio che cambia. Un turismo insostenibile con Salvatore Papa, caporedattore di Zero a Bologna, e Alex Giuzio, giornalista per “il manifesto” e autore del libro Turismo insostenibile. Per una nuova ecologia degli spazi del tempo libero (Altreconomia, 2024). Ho utilizzato la parola produzione non a caso: durante la discussione è stato sottolineato più volte come il turismo sia una vera e propria industria e che i nostri politici e amministratori lo considerano con orgoglio un settore di traino per l’economia nazionale. La realtà è diversa. Mentre l’overtourism dilaga, la politica si gira dall’altra parte ingegnandosi su nuovi modi per continuare a sfruttare i territori e le loro ricchezze materiali e immateriali. Dal mare alla montagna, passando per le città, il modello attuale di turismo, secondo Alex Giuzio, è destinato al declino. Non è più sostenibile prendere il primo aereo low cost per passare un week end breve nella località più in voga, oppure ignorare i cambiamenti climatici e le loro conseguenze sulle spiagge e sulle montagne sempre meno innevate, così come non si può non parlare del fenomeno degli affitti brevi che sta causando un aumento importante sul costo delle abitazioni, rendendo impossibile ai cittadini abitare nelle loro città. Le conseguenze del turismo di massa, allora, non sono solo ambientali ed economiche, ma anche sociali: non esistono più luoghi di ritrovo, spazi dove incontrarsi e nutrire relazioni.
Una soluzione è sviluppare una sensibilità collettiva sul tema. Durante il festival sono state organizzate visite guidate per incentivare la scoperta del territorio in collaborazione con il FAI (piazza Bufalini e Biblioteca Malatestiana, Cimitero Urbano di Cesena, Teatro Bonci) e realizzate esperienze di cittadinanza attiva, come La vasca in centro, per innescare scintille di pensiero e di azione. Dal basso sta crescendo la necessità di ridisegnare la vita negli spazi pubblici e di riappropriarsi di un tempo libero non performativo, non estetizzato e accessibile. Ma la politica dovrebbe prendere provvedimenti adeguati, perché le risorse non sono infinite e il rischio è di impoverire a poco a poco interi ecosistemi ormai ridotti a meri prodotti turistici.
L'incontro Turismo Insostenibile, FuMe Festival 2025, ph. Chiara Pavolucci
Sono arrivata a FU ME gli ultimi giorni di festival, quando la programmazione degli spettacoli si è spostata dal Chiostro di San Francesco al Teatro Bonci, edificato attorno alla metà dell’Ottocento: Ho ho avuto modo di scoprire la sua elegante sala all’italiana grazie alla visita guidata curata dalla delegazione FAI di Cesena: abbiamo apprezzato la struttura interna del teatro, con le sue decorazioni, la sua platea, i suoi palchi e il suo sipario tinti sui toni del verde.
Gli spettacoli dell’ultimo weekend si sono tenuti al Teatro Bonci, ma occupando il suo palcoscenico. Grazie alla profondità del palco, scena e platea sono stati organizzati nello stesso ambiente, accorciando le distanze tra attori e spettatori e creando un’atmosfera più raccolta. In questo ambiente intimo si sono susseguiti tre spettacoli che, in maniere completamente diverse, hanno preso dei racconti e ne hanno scardinato gli schemi per riflettere, provocare e divertire.
Nascondevo ghiaccio sotto le mie ardenti carezze di Alchemico Tre
Nascondevo ghiaccio sotto le mie ardenti carezze, una produzione Alchemico Tre, compagnia ideatrice del festival fondata da Michele Di Giacomo, che ha curato anche la regia. In scena Angelo Di Genio che, con la sua presenza misurata e allo stesso tempo intrigante, fa immergere gradualmente lo spettatore in una vicenda che, seppur temporalmente lontana, ci riguarda ancora da vicino. È il 1889 e un giovane italiano decide di raccontare la sua vita a Émile Zola, con la speranza di ispirare lo scrittore alla realizzazione di un personaggio omosessuale. Zola però tradisce la fiducia del ragazzo e invece di custodire le sue lettere decide di consegnarle a un medico, perché considera i contenuti della confidenza troppo impregnati di verità, e per questo sconvenienti. Il medico, avendo tra le mani questo materiale incandescente, ne approfitta per pubblicare un’analisi spietata del giovane, che da possibile protagonista di un romanzo diventa il caso di studio di Romanzo di un invertito nato, pubblicazione scientifica da cui Di Giacomo e Di Genio sono partiti per elaborare la loro riflessione attorno al tema della rappresentazione della sessualità.
Nascondevo ghiaccio sotto le mie ardenti carezze, FuMe Festival 2025, ph. Chiara Pavolucci
Lo spettacolo è particolarmente legato alla parola: in scena vengono letti numerosi stralci delle confessioni del ragazzo come punto di partenza per approfondire degli aspetti specifici come la discriminazione, la disforia di genere, la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione. Angelo Di Genio accompagna lo spettatore in un viaggio nel quale le parole del passato risuonano nell’esperienza del presente, un viaggio che riporta all’inaccettabile arretratezza della società attuale sui temi dei diritti della comunità Lgbtqia+. Parlarne è ancora necessario e il duo Di Giacomo/Di Genio lo rivendica a gran voce con uno spettacolo che guardando al passato punta a ridisegnare i contorni della società del futuro. Si spera prossimo.
Altri libertini da Pier Vittorio Tondelli, regia di Licia Lanera
Dal 1889 sono stata catapultata nel 1980 con Altri libertini da Pier Vittorio Tondelli. Licia Lanera, che è stata la prima a ottenere i diritti per la messinscena, ne ha curato l’adattamento e la regia, e insieme a Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva e Roberto Magnani ha dato corpo a tre dei sei racconti del libro: Viaggio, Altri libertini e Autobahn. I racconti di Tondelli, intrecciati magistralmente tra loro, sono il trampolino per parlare di un’intera generazione, quella degli anni Ottanta. Licia Lanera apre lo spettacolo con il ricordo di eventi salienti per l’Italia dell’epoca che, mescolati con la sua biografia e quella degli altri attori, ci fa piombare nell’atmosfera giusta, ci fa percepire quell’aria smaniosa che si respirava al tempo, quando si pensava di poter avere tutto. In quel periodo, mentre Tondelli viveva i suoi vent’anni, gli interpreti dello spettacolo stavano nascendo e crescendo, ma è palpabile il rispecchiamento nelle parole dell’autore, perché scrivendo della sua giovinezza, scrive anche della nostra, dialoga con il nostro sentire, al di là del contesto temporale.
Il lavoro drammaturgico tesse una tela fatta di incroci perfetti: ogni attore è portavoce di un racconto, ma nel corso dello spettacolo le vicende si sviluppano come se fossero una dentro l’altra. In questo avvilupparsi, Lanera entra ed esce dal flusso recitativo, come a sottolineare compiaciuta il suo ruolo da regista, da meneuse de jeu. Quando si sedeva al suo tavolo, posto in secondo piano al centro del palco, mi è capitato più volte di soffermarmi sul suo volto divertito mentre assisteva alle scene interpretate dai suoi compagni. Licia Lanera, allora, è allo stesso tempo regista, drammaturga, interprete e prima spettatrice di Altri libertini.
Altri libertini, FuMe Festival 2025, ph. Chiara Pavolucci
Insieme alla capacità interpretativa la potenza di questo spettacolo risiede nella profondità con cui il gruppo si sia immerso nel testo, rendendo nullo lo scollamento tra attore e personaggio. Ognuno di loro fa risuonare la propria biografia nelle parole di Tondelli, ridando vita e corpo alle speranze, alla dissolutezza, ai drammi e alla dirompenza di una generazione che poteva avere tutto e proprio per questo non ha avuto niente. Perché il punto non è avere, ma capire chi si vuole essere.
Caccia ‘l drago di e con Daniele Timpano
In chiusura del festival, il Teatro Bonci ha ospitato la prima nazionale di Caccia ‘l drago. Fabula in musica liberamente ispirata all’opera di J. R. R. Tolkien di e con Daniele Timpano, che cura anche la regia insieme a Elvira Frosini. Caccia ‘l drago, nella sua prima versione, aveva debuttato vent'anni fa, già con le musiche originali di Natale Romolo. I motivi della ripresa sono diversi. Ai tempi, lo spettacolo ricevette il premio Le voci dell’anima ed ebbe successo di critica, ma fu ospitato principalmente a Roma e non girò molto. Quindi perché non riprenderlo e migliorarlo?
Timpano ha raccontatodi aver approfondito il lavoro sulle musiche, aggiungendo al pianoforte il clarinetto, il sax e l’elettronica e perfezionando la qualità della registrazione del suono: questa attitudine a levigare il dettaglio è sicuramente un punto di forza di Frosini/Timpano. Poi c’è un aspetto che riguarda il rapporto tra teatro e narrazione. Oggi, come vent’anni fa, molto teatro è fatto per confermare le aspettative del pubblico, quel pubblico pensato come un monolite, una massa indefinita e livellata che ha bisogno di essere confortata, coccolata. Caccia ‘l drago, coerentemente con la poetica del duo, sradica il mito della passività dello spettatore, chiedendo l’intervento della sua immaginazione.
Timpano mette in scena un racconto ambientato nel medioevo, con paesaggi pazzeschi, scene di combattimento e presenze fantastiche come un gigante e un drago, servendosi di una scenografia minima e per niente didascalica. Quando i bambini giocano qualsiasi oggetto può diventare qualcos’altro, e così nel gioco del teatro il contadino protagonista sguaina il suo ombrello-spada, parla col suo tulle nero-cane, combatte con un drago che è solo voce e luce. Al centro dello spettacolo, dunque, c’è la presenza dell’attore, e i pochissimi oggetti di scena coadiuvano un lavoro col corpo e con la voce accuratoa nella sua stravaganza. A ogni parola ricorrente nel testo corrisponde un gesto o un tono di voce specifico: per esempio quando Timpano nomina il re, questi è rappresentato dalla mano di Timpano che imita una corona. L’intenzione è quella di “strappare le fiabe ai bambini”, e allora si strappano anche gli espedienti dei narratori per spingerli al loro limite fino a creare una partitura fisica e sonora ritmata, fatta di contrazioni nervose, inciampi faticosi e silenzi destabilizzanti. Chi ha avuto il piacere di assistere ad altri spettacoli di Frosini/Timpano, qui ritrova l’essenza del loro lavoro, e in particolare le origini della costruzione della figura attoriale e autoriale di Daniele Timpano.
Caccia 'l drago, Fu Me Festival 2025, ph. Chiara Pavolucci
Qualche anno fa un mio professore mi chiese perché mi piaceva andare a teatro. Risposi che mi affascinavano le storie delle persone e che quindi andavo a teatro per quello, per scoprire e ascoltare delle storie. Adesso la mia risposta sarebbe più complessa, ma Caccia ‘l drago, con il suo tentativo divertente e fallimentare di narrare una fiaba di Tolkien, ci ricorda che fare teatro non è solo raccontare una storia, ma è anche e soprattutto ricercare e sperimentare nuove modalità di racconto, per reinventare il già dato.
MOOD DEL FESTIVAL: Piccola città di Francesco Guccini e Spacca di Fulminacci
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