TourFest 2025 | La Pecora, la Sciamana e un letto a castello
Di Riccardo Provasi.
Non sarò un “poeta pazzo”, e su questo non ci sono dubbi, ma sceso dal treno e percorsa la strada verso il centro di Faenza, ero rimasto anche io colpito dalla “Grossa torre barocca” e da piazza del Popolo, dove si respira ovunque “un carattere di scenario nelle logge ad archi bianchi leggieri e potenti” (Dino Campana).
E perché, nei primi giorni di luglio, mi trovavo proprio nel cuore della Romagna? Perché dopo una scrupolosa ricerca nel database di TrovaFestival, mi sono fatto incuriosire da un evento che da una decina d’anni attira nella provincia ravennate compagnie di danza, performance e manifestazioni artistiche da tutta Italia (e oltre).
WAM! Festival nasce nel 2011 quando diverse compagnie che decidono di dare vita a un evento per valorizzare il territorio tramite l’arte performativa, per diffondere le diverse forme di danza e performance all’interno della provincia, raggiungendo luoghi e paesini spesso digiuni di manifestazioni di questo tipo. Alla sua prima edizione, la sigla WAM! era l’acronimo di “Weekly Art Meeting”, poi “Where art moves (Faenza)”, “We Are Moving”, fino a divenire semplicemente un nome proprio, privo di un significato letterale, ma denso di un valore storico. Biennale dopo il 2015, WAM! non si è fermato neanche durante la pandemia. Si è trasformato, ovviamente, come tutto, ma non ha mai perduto la sua essenza e che ha saputi esserci in “Ogni Caso”, claim dell’edizione 2025 ispirato dalla poesia della poetessa Oremio Nobel Wisława Szymborska. Tutto, nella rassegna di quest’anno, ha voluto indagare il caso inteso come Fato, entità che governa le nostre vite, che le stravolge e che noi possiamo solo arginare. E questo verbo, per chi vive in zone in cui “Fato” vuol dire anche il fango delle alluvioni, ha un significato ben più pregnante.
La scelta degli spettacoli
Le modalità con cui vengono scelte le artiste e gli artisti all’interno della programmazione dimostra l’attenzione alla democratizzazione della cultura che caratterizza l’intero festival: lo staff di WAM! individua un pool di performance da sottoporre a “commissioni sul territorio” (a Bologna, Ferrara, Forlì…) composte da compagnie ed esperti di arte performative, le quali valutano gli spettacoli proposti e indicano le loro preferenze tramite una tabella di voti.
La programmazione ufficiale viene dunque definita dopo un’analisi di fattibilità tecnica finale da parte dello staff del festival, tra gli spettacoli più d’impatto e meglio valutati dalle commissioni. D’altronde, il miglior modo per “diventare un punto di riferimento per la danza nella Regione Emilia-Romagna” (cito dalla mission del festival), è rendere la regione stessa parte del processo creativo.
Arrivato a Faenza il 2 luglio, completamente stordito dal caldo torrido, decidevo di andare subito a conoscere le persone dietro a WAM!, che stavano proprio in quel momento inaugurando la rassegna con la mostra fotografica gratuita AliAria, a cura di Gruppo Fotografia Aula 21, ospitata presso la Sala delle Bandiere della Residenza Municipale.
Sotto il soffitto di legno a cassettoni, erano disposti lungo sala dei tabelloni su cui erano state apposte le opere, in cui i ballerini raffigurati si trovano
in luoghi che ci ricordano il continuo movimento di ogni cosa, un ambiente naturale che è in continua mutazione, un edificio abbandonato che continua a restare in vita, oppure una via della città che cambia a seconda di chi la vive.
Nonostante la mostra non fosse particolarmente ricca, incuriosiva il visitatore, magari incentivandolo a conoscere qualcosa di più della danza.
Per me, prima di iniziare a osservare le varie opere fotografiche, il gioco consisteva nel tirare un dado e iniziare la visita dall’opera indicata sulla faccia e da quella proseguire.
Sono rimasto a chiacchierare con Valentina Caggio e Paola Ponti e le altre anime di WAM!, che mi hanno raccontato del festival, e ci siamo accordati per andare insieme a Torre Oriolo, a pochi chilometri da Faenza, dove la sera si sarebbe tenuto La Sanadora, il concerto di Messalina Fratnic (voce, chitarra, shrutybox – strumento musicale indiano in legno capace di suonare “bordoni”, lunghe note continue), Filippo Berardi (steel guitar/banjo/contrabbasso) e Mauro Casadio (percussioni). Proprio mentre stavo per salire sulla macchina diretta alla torre, scoprivo che con noi, nel bagagliaio, sarebbe venuta una pecora. Non proprio una pecora vera: si trattava del cartonato di una pecora, con il muso bianco e il resto della lana interamente verde chiaro (il colore del festival), eccezion fatta per una “W” presente sul dorso dell’animale, dello stesso colore del muso: era il simbolo di WAM! e avrebbe indirizzato il pubblico verso la biglietteria o l’ingresso in tutte le location del festival. Semplicemente magico.

WAM! Festival 2025, ph. Riccardo Provasi
“Magico” è stato anche ciò a cui ho assistito: lungo le colline romagnole, stavamo raggiungendo la Torre di Oriolo, luogo fuori dal tempo di un fascino indescrivibile, alimentato dalla tempesta che si stava abbattendo in quel momento a pochi chilometri da noi e che rendeva il cielo plumbeo, carico di fulmini e roboante di tuoni. L’atmosfera si sposava alla perfezione con il concerto, spostato dalla sommità all’interno della torre causa pioggia. La cantautrice e musicista Messalina Frantic, insieme a due ottimi musicisti, ci ha trasportati nel mondo della musica medicina e dei canti tradizionali e rituali che caratterizzano alcune credenze. Eravamo seduti su cuscini disposti a semicerchio, al secondo livello della torre. Leggermente illuminati da alcuni fari puntati su di loro, la cantautrice e i musicisti erano disposti davanti a quello che un tempo sarebbe stato un camino. Mentre nell’aria si diffondeva un leggero profumo d’incenso, iniziava il concerto.
