TourFest 2025 | La cultura e lo spettacolo come strumento di resistenza per le "aree interne"
Di Cecilia Salerno.
Già lo scorso anno avevo raccontato l’emozione di vedere Miglionico, il piccolo paese della provincia di Matera in cui sono cresciuta, trasformarsi in un teatro a cielo aperto. A settembre 2024, Da grande sarò un festival aveva riempito le strade e le piazze del borgo di bambini, colori e storie: cinque giorni intensi in cui la comunità si era lasciata attraversare dalla bellezza del teatro. Quel primo esperimento ha fatto germogliare qualcosa e quest’anno, per volontà dell’amministrazione comunale guidata dal giovanissimo sindaco Giulio Traietta, il festival è tornato. È tornato per crescere, come i bambini che lo scorso anno ne erano stati protagonisti.
La seconda edizione, anticipata a inizio luglio – dall’8 al 13 – ha cambiato volto: più ampia, più articolata, più coraggiosa. Se nel 2024 l’accento era posto sul teatro per l’infanzia, quest’anno la proposta si è allargata al pubblico adulto, senza perdere la vocazione che l’anno scorso aveva definito l’identità del festival: quella comunitaria. Il programma ha accolto artisti e compagnie provenienti da diverse regioni – per citarne alcune: Teatro Ebasko, Qui e Ora Residenza Teatrale, Dracma Teatro – che hanno abitato Miglionico con spettacoli, laboratori e incontri. La curatela, affidata nuovamente a IAC – Centro Arti Integrate, con la direzione artistica di Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, ha saputo riconfermare un impegno serio e continuativo nella promozione dell’arte performativa in luoghi in cui il teatro, spesso, non arriva.
Ma Da grande sarò un festival è più di un evento culturale. In un momento storico in cui le politiche pubbliche sembrano disinvestire nei territori lontani dai grandi centri cittadini, la sua esistenza assume un valore politico profondo. Il Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne, approvato nell’aprile 2025 dal governo Meloni, descrive la Basilicata come una regione destinata a un lento e inesorabile declino demografico. Miglionico, come gran parte dei comuni lucani, rientra tra le cosiddette “aree interne” che, secondo le previsioni ufficiali, perderanno progressivamente popolazione, servizi e opportunità. Nel testo del Piano si legge, con inquietante freddezza, l’intenzione di “accompagnare” questi territori in un percorso di spopolamento irreversibile. In questo scenario, Da grande sarò un festival si fa gesto di resistenza alla narrazione della marginalità come destino, alla dispersione delle comunità e all’idea che cultura e bellezza possano abitare solo i centri. È un atto di fiducia nel presente e nel futuro, un grido che dice: qui ci siamo, creiamo, partecipiamo, immaginiamo e, soprattutto, lottiamo.

Incontro inaugurale, ph. Anna Pia Mastrosabato
Il focus sul Mediterraneo
L’incontro inaugurale della seconda edizione si è aperto con uno sguardo ampio, rivolto al Mediterraneo. La nomina di Matera a Capitale del Mediterraneo 2026 è stata il punto di partenza per immaginare nuove forme di relazione tra i territori lucani e il Mediterraneo, un’occasione importante per interrogarsi su che tipo di visione e responsabilità culturale possa emergere da questa prospettiva, e su come tale visione possa coinvolgere, in modo concreto e non retorico, anche i paesi dell’entroterra lucano. È proprio da qui che il discorso si è spostato su Miglionico, non come semplice caso locale, ma come esempio di un luogo in cui istituzioni e realtà culturali collaborano in maniera strutturata per costruire nuove prospettive.
Nel corso dell’incontro, le associazioni attive sul territorio – IAC, Giallo Sassi, Generazione Lucana – hanno presentato le attività in corso, in particolare all’interno del progetto europeo Giovani in Biblioteca, che propone laboratori di teatro, fumetto, podcast, giochi e percorsi di cittadinanza attiva per i ragazzi e le ragazze di Miglionico. È un lavoro capillare, nato dall’ascolto della comunità e dalla volontà di accompagnare i giovani in un processo di riscoperta delle proprie possibilità, in un contesto in cui spesso manca un’offerta culturale continuativa. Al centro non c’è solo l’idea di “contrastare lo spopolamento”, ma di offrire strumenti per restare con consapevolezza, desiderio e immaginazione.
Un ruolo fondamentale in questo processo è svolto dall’amministrazione comunale, che dimostra una visione chiara e condivisa: investire nella cultura non per creare eventi isolati, ma per generare occasioni di crescita, confronto e appartenenza. Il legame stretto tra istituzioni locali, progettazione culturale e partecipazione comunitaria rende Miglionico un laboratorio attivo, in cui è possibile sperimentare un modo diverso di pensare e abitare il territorio.
Da grande sarò un festival si inserisce con coerenza in questo discorso: non è un festival costruito dall’esterno per attrarre attenzione o turismo mordi e fuggi, come avviene in molti casi in cui i territori diventano semplici palcoscenici per operazioni di visibilità scollegate dal contesto. I cosiddetti “festival vetrina”, spesso promossi da realtà estranee al tessuto locale, portano nei paesi una programmazione artistica decontestualizzata, generando forme di turismo effimero e sterile, che lasciano poco o nulla a chi quei luoghi li vive ogni giorno. Da grande sarò un festival nasce invece in ascolto della comunità, in dialogo con le esigenze del territorio e in collaborazione con chi lo conosce e lo abita. La programmazione è costruita attorno alle specificità di Miglionico, privilegiando lavori, artisti e compagnie che possano parlare direttamente con e per il paese.
La malinconia è un piatto che va servito caldo
Se pensare al Mediterraneo come spazio comune significa coltivare relazioni vive tra persone, generazioni e territori, allora anche i gesti quotidiani che ci uniscono – un pranzo preparato insieme, un sapore tramandato, un racconto condiviso a tavola – diventano parte di questa costruzione. Il teatro può raccogliere e trasformare questi gesti, dando loro forma scenica e restituendoli alla comunità come occasione di incontro e convivialità collettiva.
È quello che accade in Saga Salsa di Qui e Ora Residenza Teatrale. All’inizio dello spettacolo, il pubblico, come ospite di una trattoria all’aperto, viene invitato a sedersi attorno a un lungo tavolo. È qui che tre donne – nonna, madre e figlia – iniziano a raccontare la storia dell’attività, fatta di piatti genuini e ricette di famiglia, di fatica quotidiana e legami che resistono al tempo. Il vino servito agli spettatori-commensali scandisce il ritmo del racconto: tra un bicchiere e l’altro riaffiorano amori, fatiche, ricordi e momenti che si intrecciano con il tempo della preparazione della salsa al pomodoro. E, nell’attesa che questa sia pronta, lo spettacolo ci restituisce l’idea che valga la pena fermarsi, guardare negli occhi chi ci è accanto e concedersi del tempo per vivere un’esperienza insieme e che, da momenti semplici, densi di genuinità e serenità, si possa ripartire per costruire la propria quotidianità.

Dopo il profumo di basilico e pomodoro e le chiacchiere attorno al tavolo di Saga Salsa, la scena si fa più silenziosa, come se il sole, calando, avesse cambiato il respiro del paese. In Ombre di Giuseppe Innocente, con la regia di Ivano Picciallo, un altro tavolo occupa il centro della scena: i piatti e i bicchieri lasciano spazio a fogli e carboncini e, sullo sfondo, le pareti delle case di piazza Municipio si arricchiscono di ritratti appesi in semicerchio talvolta mossi dal vento. I colori che definiscono la scena sono tenui e si confondono con quelli del tramonto, fino a rendere il paesaggio naturale parte attivo della scenografia. Lo spettacolo racconta l’isola di Alicudi, restituendo le voci e i volti di chi l’ha abitata attraverso il doppio registro della parola e del disegno. Innocente tratteggia figure che appaiono e scompaiono, mostrandole e nascondendole, accarezzandole e agitando la carta che le contiene, come se volesse dar loro vita e trattenerle un istante prima che il mare le inghiotta. La sua narrazione, frammentata e ritmata come una partitura di slam poetry, trasporta lo spettatore in uno spazio onirico, dove le immagini si sovrappongono e si dissolvono. Così, nel raccontare storie di amori, assenze e ritorni impossibili, Ombre rende presenti i personaggi attraverso la loro assenza: li fa vivere in scena per il tempo di un gesto o di un piccolo racconto, salvo poi lasciarli scivolare via. Rimane però una distanza incolmabile: quella di chi è consapevole che quel tempo e quel luogo non torneranno, e che può solo affidarsi alla memoria, alla voce e all’arte per inseguirne una fragile resurrezione. È una distanza che trova eco nell’incipit di uno dei romanzi più belli del Novecento, Dissipatio H.G. di Guido Morselli, che sintetizza lo spirito di Ombre: "Relitti fonico-visivi mi tengono compagnia, e sono ciò che di più diretto mi rimanga di 'loro'". In quelle parole Morselli riflette il destino e il sentimento del narratore che Innocente incarna: la malinconia per ciò che è irrimediabilmente perduto e, contemporaneamente, la certezza che i frammenti sopravvissuti possano ancora trovare un barlume di esistenza, sospesi nei racconti e nelle immagini di chi non smette di custodirli.

Ombre, ph. Anna Pia Mastrosabato
Il gioco e la promessa
Nei cinque giorni di laboratorio intitolato Code ritte e un piffero, i bambini di Miglionico hanno giocato con il teatro imparando a usare il corpo e la voce, creando storie e improvvisando l’invenzione di personaggi e narrazioni. Guidati da Nadia Casamassima, i piccoli attori e le piccole attrici hanno preso in mano una fiaba antica, Il pifferaio magico dei fratelli Grimm, per riportarla in vita con gli occhi e l’immaginazione dell’infanzia. In Code ritte e un piffero, messo in scena come esito finale del laboratorio, la storia del villaggio invaso dai topi e del misterioso musicista che lo libera diventa occasione per riflettere sul valore della parola data e sul rispetto del lavoro altrui. Attraverso la leggerezza dei gesti e la meraviglia dello sguardo infantile, la piccola compagnia restituisce alla fiaba la capacità di parlare a ogni età, ricordando che anche nei racconti più noti possano annidarsi significati nuovi, capaci di attraversare generazioni. La promessa del pifferaio diventa la metafora di un patto più grande: quello che lega le persone nel momento in cui scelgono di camminare e costruire qualcosa insieme. Il teatro è fondamentale perché permette di rinnovare di questo patto ogni volta che chiama una comunità a raccogliersi per ascoltare una storia, lasciandosi attraversare da un’emozione comune, da custodire come un tesoro prezioso.
Da grande sarò un festival continua a ricordarci che una comunità si determina nella capacità di custodire e rinnovare quel filo invisibile che tiene insieme i gesti quotidiani e i momenti straordinari, memorie condivise e sogni ancora da custodire. È in questa trama, fatta di sguardi e ascolto reciproco, che il teatro diventa atto di cura collettiva, un respiro che attraversa strade, piazze e case e restituisce a ogni incontro la possibilità di essere parte di una storia comune, di resistere al tempo e continuare a fiorire.
Code ritte e un piffero, ph. Anna Pia Mastrosabato
MOOD DEL FESTIVAL: Viva la pappa col pomodoro di Rita Pavone e Manifesto di Bandabardò
(scopri tutti i mood dei festival del TourFest 2025)
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