TourFest 2024 | Oriente Occidente
In viaggio tra danza e narrazioni
Di Giulia Alonzo e Marta Maggioni.
Abbattere i confini. Corpi che ci ricordano la materialità di un bordo e di come l’arte, con le sue contaminazioni, deve farsi strumento per travalicare i muri e gli stereotipi, per definire nuove identità e appartenenze. La danza, con la sua potenza di comunicazione senza l’uso della parola, ricorda il gesto come atto principe di una nuova narrazione, alla ricerca di nuove modalità di dialogo e costruzione di comunità.
Dub di Amala Dianor ne è stata la sintesi, manifesto e inno alla diversità. Undici giovani performer, provenienti da Francia, Stati Uniti, Congo, India, Sudafrica, Costa d’Avorio, Italia e Gran Bretagna, hanno dato vita a una coreografia che ha abbattuto le barriere delle categorizzazioni. La musica di Awir Leon ha accompagnato questo viaggio, mentre la scenografia dell’artista Grégoire Korganow ha trasformato il palcoscenico in un territorio effimero di energia e vitalità. Ogni movimento era un richiamo alla fluidità dell’identità, un abbraccio a nuove forme di espressione per sfidare il conformismo.
Amala Dianor, Dub (ph. Pierre Gondard)
Lo spettacolo è stato scelto per aprire Oriente Occidente, il festival che da 44 anni porta la danza internazionale nel cuore di Rovereto, tra il 30 agosto e il 7 settembre per la terza tappa del triennio dedicata ai Mediterranei Globali, quest’anno declinato al tema Relazioni. Come si legge nel comunicato stampa
A Oriente Occidente quest’anno vogliamo mettere in discussione i punti cardinali, il senso di centro e di marginalità, andando alla ricerca di quali rapporti oggi disegnano gli equilibri. Identità, appartenenza, riconoscimento, rappresentazione, voglia di riscatto, nuove utopie: l’invito è quello di nutrirsi di pluralità e lasciare spazio anche alle contraddizioni. Esistono ancora un Nord e un Sud del mondo? Cosa significa oggi Occidente? Cosa rimane di queste definizioni? In un contesto in cui dividere le mappe in quattro parti appare riduttivo, quanto ancora sono impari le relazioni tra questi poli Mediterranei globali non poteva che concentrarsi su ciò che attraversa e rende complesso e interessante questo spazio plurale: le relazioni che si intrecciano in quel luogo che nei nostri planisferi è posto al centro del mondo e che, in qualche modo, lo determinano.
Il Don Chisciotte del Teatro dei Venti
Voglia di riscatto e utopie è il tema di uno dei grandi romanzi della storia, il Don Chisciotte, portato in scena dal Teatro dei Venti, riadattato dalla poetica penna di Azzurra D’Agostino. Un percorso a tappe lungo il corso principale di Rovereto, seguendo musica, trampolieri verso la follia dell’hidalgo spagnolo. L’eroe, mettendo a nudo la sua fragilità, ricorda alla piazza gremita, di grandi e bambini, come rialzarsi per inseguire i propri sogni e la verità sia il gesto più audace da compiere lungo il nostro percorso, lungo la nostra vita (ne avevamo parlato anche in occasione della tappa a Mirabilia.
Strangers in the Night di Carlo Massari e Jos Baker
Che rapporto c’è tra Frank Sinatra e La metamorfosi di Kafka? Ce lo racconta Carlo Massari, artista associato al festival, mettendo in scena, insieme a Jos Baker dei Peeping Tom, il labile confine tra sogno e realtà, in uno spettacolo che unisce sapientemente danza, canzone e mimo. Con Strangers in the Night lo spettatore è invitato a riflettere sui suoi lati più oscuri, osservando in scena la trasformazione di un individuo e del suo doppio/mostro. Momenti di cupezza vengono abilmente alternati a segnaòli di ironia visiva in cui l’universo di finzione viene svelato e decostruito continuamente con il pubblico.
Scarafaggio isolato su sfondo bianco
Focus Ruanda
In questo viaggio di abbattimento dei confini e di riscatto, all’interno del programma si è aperto un focus sul Ruanda: a trent’anni esatti dal genocidio dei tutsi, il festival ha voluto ricordare la storia e rendere omaggio alle vittime. Lo ha fatto mettendosi in discussione e aprendo un dialogo con artisti di origini ruandesi, tra cui Dorothée Munyaneza già presente nella programmazione del 2023.
Grazie al dialogo con l’artista, il pubblico ha avuto la possibilità di fruire di The Bride (2023), un film ruandese visto al Festival di Berlino che offre una prospettiva non occidentalizzata sul genocidio. Durante il talk precedente, Chiara Vitucci, autrice del libro Lo sguardo del cinema sul genocidio dei tutsi in Ruanda. Narrazioni a confronto (Editoriale Scientifica 2023), ha guidato i partecipanti in una riflessione sulla tragedia, soffermandosi sui diversi punti di vista narrativi proposti da due film che raccontano lo stesso evento in modi differenti. Da un parte, la narrazione occidentale della tragedia incarnata nel film Hotel Rwanda, una produzione hollywoodiana incentrata sulla figura eroica di Paul Rusesabagina. Dall’altra The Bridge, ambientato nel 1997, tre anni dopo il genocidio, riflette su cosa resta nella memoria di una famiglia che ha visto il massacro dei propri cari con una visione più popolare, di umanità e memoria.
Il focus del festival è proseguito con il ritorno alla danza, presentando in prima nazionale lo spettacolo Umuko di Dorothée Munyaneza. Il palcoscenico si è tinto di rosso, il colore dell’umuko, albero ruandese dalle proprietà curative. Questo simbolo, unito ai corpi e alle movenze che incarnano una specifica cultura, si trasforma in un messaggio di speranza e rinascita: non si intende cancellare il genocidio del 1994, ma custodirlo come parte integrante della storia culturale del Ruanda. Il focus dedicato a questo paese traumatizzato si conclude con un’esplosione di musica e suoni grazie al concerto di Akayezu J. Patient Impakanizi. Qui, la tradizione ruandese si manifesta anche attraverso strumenti tipici, le cui vibrazioni invitano il pubblico a danzare e a unirsi in questo percorso di musica, storia e cultura.
Dorothée Munyaneza, Umuko (ph. Jay Kiseki)
Conferenze e talk
Sul filone del tema del festival anche Linguaggi, un ciclo di conferenze e talk, presso il MART di Rovereto, per approfondire il tema del festival in chiave teorica, come gli incontri Deglobalizzazione. Se il tramonto dell’America lascia il mondo senza centro con Fabrizio Maronta intervistato – per oltre un’ora e mezza – da Simone Casalini; o “Migrante” non basta con Abdelfetah Mohamed in dialogo con Luca Misculin. Una sezione del festival pensata per arricchirne il programma con testimonianze e visioni parallele su un tema comune, ma che risulta totalmente distaccata dal focus principale del festival, la danza e lo spettacolo dal vivo. Sarebbe forse più efficace riuscire a far dialogare questi due monti, l’approfondimento tematico e la danza, innescando contaminazioni linguistiche e tematiche.
Un festival accessibile
Come avevamo già raccontato approfonditamente l’anno scorso il festival persegue l’obiettivo di aprire le porte della cultura a un numero sempre maggiore di persone grazie al lavoro di un accessibility team composto interamente da persone con disabilità. Oltre al Subpac, zainetti vibranti per lasciar “sentire” la musica attraverso esperienza tattile a persone sorde, performance con audio-descrizione poetica per persone cieche, sale di decompressione sensoriale, ovvero zone appartate dove chi ne sente necessità può trovare uno spazio sicuro, novità di quest’anno il kit in linguaggio semplificato, un accompagnamento alla comprensione dello spettacolo per persone neurodivergenti e con disabilità cognitiva.
L’attenzione è rivolta anche alla sostenibilità ambientale, anche qui con una figura interamente dedicata a questo per orientare le scelte organizzative verso un impatto più basso e che ha anche il compito di formare lo staff, aiutare nella comunicazione al pubblico, agli ospiti, ai collaboratori occasionali delle buone pratiche intraprese dal festival.
Ascolto, rispetto, contaminazione, forse la chiave vincente per riuscire in un dialogo culturale. Oriente Occidente persegue questa politica da oltre quarant’anni, mostrando come un festival possa essere luogo di democrazia e tolleranza, con un occhio attento – molto attento – alle diversità individuali.